Sì, poi basta che quello di turno applichi dazi assurdi, che qualcuno chiuda i rubinetti del gas, che la filiera rischia di crollare.
Quante aziende hanno chiuso ultimamente per il costo energetico?
Le bellezze naturali, il patrimonio storico, artistico, culturale, non crolla per gli estri di qualcuno.
Anche l’industria è esposta a rischi sistemici e non mi permetterei di scrivere che vi siano settori al al riparo.
Ma la differenza è che i settori ad alta produttività hanno strumenti per adattarsi, innovare e mantenere competitività, anche in contesti critici.
È vero che molte aziende hanno sofferto il caro energia, ma molte altre, soprattutto quelle tecnologicamente avanzate e più solide, hanno accelerato la transizione verso fonti rinnovabili, efficientamento e automazione, riorganizzando le filiere e in certi casi perfino crescendo.
Di contro, il turismo pur poggiando su un patrimonio meraviglioso non genera automaticamente ricchezza né lavoro qualificato, se non è accompagnato da investimenti, progettazione urbana, competenze e politiche lungimiranti.
“Le bellezze naturali, il patrimonio storico, artistico, culturale” non bastano da sole, perché se così fosse dovremmo essere la nazione più ricco d’Europa
E invece ci ritroviamo con salari bassi e tantissimi giovani, in particolare quelli con più competenze, che emigrano.
Siamo partiti da Venezia, una città che amo profondamente e che rappresenta un esempio estremo, ma purtroppo emblematico, di cosa accade quando un’economia si sbilancia troppo sul turismo.
Chi si è arricchito dal boom turistico della laguna? Non certo la maggioranza dei cittadini.
A beneficiare sono stati: i proprietari immobiliari, spesso per puro caso, grazie all’esplosione degli affitti brevi; i grandi gruppi alberghieri e i fondi di investimento internazionali, che hanno acquisito immobili trasformandoli in hotel di lusso, spesso sottraendoli alla vita cittadina.
E mentre il centro storico si svuota di residenti e botteghe, la manodopera che fa funzionare il turismo arriva ogni giorno dalla terraferma, per stipendi bassi e poca stabilità. Una larga parte di questa forza lavoro oggi è composta, non a caso, da lavoratori stranieri.
Nel frattempo, quanti giovani veneziani sono andati via? Quanti ragazzi cresciuti in una città unica al mondo, con un patrimonio culturale straordinario, si sono trasferiti altrove per mettere a frutto percorsi di studio, competenze, specializzazioni universitarie? Hanno capito che rimanere avrebbe significato, nella migliore delle ipotesi, fare i camerieri per i turisti americani, servendo spritz a 25 euro in piazza San Marco.
Il paradosso è proprio questo: un’economia basata sul turismo può impoverire una città dal punto di vista sociale, culturale e umano. La rendita sostituisce la produzione, con l’ovvia conseguenza che il tessuto urbano si svuota della comunità, per diventare un gigantesco parco a tema.
Ecco perché il punto non è per me “turismo sì o turismo no”, ma che tipo di turismo, con quale impatto, per quale visione di futuro.
Venezia, oggi, è un monito più che un modello e chi pensa di spingere ancora di più sul turismo dovrebbe, forse, riflettere un po’ di più sulle conseguenze a medio e lungo termine.